lunedì, dicembre 25, 2006
Ancora Caterpillar...
M’ILLUMINO DI MENO
16 febbraio 2007
Giornata Internazionale del Risparmio Energetico

Siamo a tre, sarà ancora più grande e abbiamo ancora bisogno di voi.

Anche quest’anno il 16 febbraio Caterpillar farà il possibile per salvare il pianeta terra con la terza edizione di "M'illumino di meno", che diviene Giornata Internazionale del Risparmio Energetico. Nella data dell’anniversario dell'entrata in vigore del protocollo di Kyoto vi chiederemo di adoperarvi per risparmiare, ancora, la maggiore quantità possibile di energia. Per dimostrare di nuovo e concretamente che il risparmio è la prima fonte d’energia disponibile. Si potrà partecipare, aderendo alla Giornata e raccontando come si risparmierà energia, come semplici cittadini, famiglie, coppie di fatto, scuole, comuni, province e regioni. Come aziende, negozi, uffici, società sportive, industrie, condomini, edicole, monumenti, opifici, musei, cinema, partiti politici e qualsiasi altra forma di organizzazione umana. Quello che chiediamo, soprattutto a chi ha già partecipato alle precedenti due edizioni, è di trovare un modo affinché il 16 febbraio si riesca a convincere più gente possibile a risparmiare energia. Le trovate più geniali, gli eventi più spettacolari, i gruppi di risparmio più numerosi saranno poi raccontati in diretta nel mese precedente il 16 febbraio. Per aderire basterà, dal 15 gennaio 2007, segnalarsi via mail a caterpillar@rai.it indicando nell'oggetto l'adesione a "M'illumino di meno" e quello che avete intenzione di fare il 16 febbraio.

Vi aspettiamo numerosi, Viva la Terza Giornata Internazionale del Risparmio Energetico, viva Radio2.

Massimo Cirri, Filippo Solibello e tutta Caterpillar

www.caterueb.rai.it
 
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giovedì, dicembre 21, 2006
Allevamenti e Decrescita
Dalla mailing list del sito www.decrescita.it, ricevo e posto volentieri questa lettera, di cui condivido appieno il merito della questione: ritengo infatti che, da un lato, la produzione e il consumo di carne costituisce comunque uno spreco rispetto alla produzione e il consumo di cibi vegetali; dall'altro, invece, la produzione e il consumo di carne costituisce il perpetuarsi dello sfruttamento di essere viventi ridotti alla funzione di mero oggetto. Cmq è inutile ripetere concetti che sono espressi in forma sicuramente migliore nella lettera sottostante! Buona lettura.



Sulle pagine dedicate alla decrescita di Carta dell’8 settembre scorso leggo, nell’articolo Rivoluzioni nel borgo di Jacopo Fo, questo passo: «Oggi [Varese Ligure] è (...) esempio per tutta l’Europa di come economia, ecologia e benessere sociale possano convivere. L’agricoltura e l’allevamento sono stati convertiti al biologico, con notevole aumento di fatturato e occupazione. La cooperativa Carni San Pietro Vara, creata nel 1997, fattura oggi 750.000 euro all’anno, 1,3 milioni la cooperativa casearia. Non si allevano le mucche frisone, considerate vere e proprie macchine da latte e capaci di produrne fino a 70 litri al giorno, si allevano le bruno alpine perchè sono di razza italiana (...). Fanno meno latte, ma è più sano e di straordinaria qualità».

In un comunicato ANSA dell’1 dicembre leggo: «”Il bestiame genera più gas serra del settore dei trasporti” si legge in una ricerca della FAO, secondo cui gli allevamenti sono fonte del 18% di tutte le emissioni di anidrite carbonica legate alle attività umane. Oltre alla CO2 il settore degli allevamenti è responsabile del 65% delle emissioni di protossido di azoto, prodotto dal letame, un gas 296 volte più pericoloso dell’anidrite carbonica per il riscaldamento globale del pianeta. E del 37% del metano legato alle attività umane, una conseguenza del particolare sistema digestivo dei ruminanti. Le urine emettono il 64% dell’ammoniaca riversata nell’ambiente, che contribuisce ad aumentare le piogge acide. La FAO prevede un raddoppio tra il 2001 e il 2050 della produzione di carne, che passerà da 229 a 465 milioni di tonnellate, e di quella di latte, che passerà da 580 milioni di tonnellate a 1043. Con conseguente aumento dell’inquinamento.»

Rileggiamo ora il testo di Jacopo Fo alla luce di queste informazioni, cui si aggiungano le grandi porzioni di terreno agricolo sottratte all’alimentazione umana per destinarla alla produzione di foraggio per il bestiame. Sono indubbi i meriti di Varese Ligure in campo agricolo ed energetico, ma quando fra essi si inserisce anche l’allevamento significa che non si è ben compresa la portata dell’idea di decrescita, che non è un semplice bricolage produttivo, ma presuppone un radicale mutamento del nostro modo di rapportarci con la totalità del pianeta: la totalità, non solo il nostro borgo, magari ormai biologico e solare eppure sempre borgo nel suo essere soltanto un pezzetto di mondo e in quanto tale inconsapevole della totalità. Ma partecipe di e agente su di essa, che se ne accorga o no.

Varese Ligure, dunque, produce gas serra, Varese Ligure spreca terreno agricolo dirottandolo verso una forma di alimentazione dispendiosa e inutile quale è la carne. Biologica finché si vuole, ma pur sempre carne. Questa non è decrescita, è al più sviluppo “sostenibile” (fino a quando?). Proprio ciò cui la decrescita si oppone.

Ma è anche qualcosa di più: è perpetuazione di un assunto culturale che pervade l’intera nostra civiltà dal neolitico in poi e che nel capitalismo occidentale ha trovato la sua massima attuazione: lo sfruttamento del vivente ridotto a oggetto, uno dei più funzionali strumenti delle economie basate sul profitto e sulla crescita indefinita. Proprio quella via che non vogliamo più seguire.

Una precisazione finale: l'oggetto di queste riflessioni non è tanto quel che accade a Varese Ligure quanto il modo in cui ci viene presentato nell'articolo di Jacopo Fo, che pare descriverci come un punto di arrivo quello che è invece solo un primo passo lungo una strada ancora in gran parte da percorrere.

Se da una parte è vero che non è pensabile raggiungere il nostro obiettivo in un sol colpo, il che fa sì che, nell'attuale panorama, dobbiamo guardare a Varese Ligure come a una esperienza interessante, dall'altra mi sembra che ridurre la decrescita soltanto a un po' di pannelli solari e di prodotti biologici significhi annullarne la notevole portata culturale e alla fine renderla inoffensiva.

Non sono insomma un integralista, un seguace del 'tutto e subito' ma sono anche consapevole della notevole capacità del sistema (nel quale includo componenti pseudo alternative) di fagocitare anche le idee più nuove affinchè nulla in realtà cambi. E temo che l'articolo di Jacopo Fo vada in questa direzione.

Matteo Cocconoli

Fonte: http://liste.decrescita.it/wws/arc/decrescita/2006-12/msg00031.html
 
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lunedì, dicembre 18, 2006
Centri Commerciali a Palermo
Come mi è capitato di scrivere da qualche parte in questo blog, sono (o forse sarebbe meglio dire "ero") abbastanza contento del fatto che nella mia città (Palermo) praticamente non ci sono centri commerciali, se non uno di modeste dimensioni.

Purtroppo, come potete leggere qua, è di qualche giorno fa la notizia che è stata concessa l'autorizzazione per la costruzione di un centro commerciale a Palermo. Il progetto è stato presentato da una società che fa capo a Maurizio Zamparini, che è anche proprietario della squadra di calcio del Palermo.

Cercando su internet maggiori notizie, mi sono imbattuto in un forum in cui c'era una discussione sull'argomento. Ho scoperto quindi che, oltre al centro commerciale di Zamparini, sono stati approvati progetti per la costruzione di altri due centri commerciali!

Insomma, è finita la favoletta di Palermo città senza centri commerciali... anche noi "finalmente" stiamo conoscendo questo ulteriore stadio dello "sviluppo". Anche se qualche mio concittadino pensa che è vergognoso che a Palermo non ci siano ancora "veri" centri commerciali e si rallegra di questo "progresso". Mah, punti di vista.

In attesa di ulteriori riflessioni sull'argomento, al momento vi propongo la lettura di un articolo tratto dal sito www.eddyburg.it.

Vorrei però anche aggiungere una considerazione personale su Maurizio Zamparini. Bisogna riconoscere che da quando ha preso le redini della squadra calcistica del Palermo, questa ha ottenuto grandi risultati e raggiunto livelli inimmaginabili fino a pochissimi anni fa. Il mio sospetto è però che, considerato il fatto che Palermo è una città che in questo momento gode di una passione calcistica molto elevata, molti miei concittadini considerino Zamparini una specie di eroe, un santo, una persona alla quale la nostra città deve moltissimo fino al punto di sentirsi in debito e concedergli con, forse un pò cieco, entusiasmo possibilità quali appunto la costruzione di un centro commerciale (e probabilmente anche di un nuovo stadio calcistico ad esso annesso). Forse sono dinamiche normali, resta il fatto che io le soffro particolarmente soprattutto considerando che il personaggio in questione non ha mai fatto mistero delle ragioni per le quali ha acquisito la proprietà del Palermo e quindi lo vedo come una sorta di colonizzatore con una intera città (o comunque una buona parte) inginocchiata ai suoi piedi. Tanto che qualcuno inizia a parlare di "Zamparini City"...
 
posted by Daniele at 10:40 AM | Permalink | 7 comments
venerdì, dicembre 15, 2006
Pasta acida
Da qualche settimana ho iniziato a preparare il pane a partire dalla pasta acida fatta in casa.

La prima pasta acida l'ho ottenuta preparando l'impasto per il pane come ero solito fare, tenendo da parte circa 250 grammi dell'impasto e infine conservandolo in un barattolo chiuso nel frigorifero (il barattolo deve avere dimensioni un pò più grandi dell'impasto conservato in quanto questo tenderà un pò a crescere).

Questo impasto conservato in frigo diverrà la pasta acida da utilizzare per fare il pane la volta successiva, tenendo sempre a mente di conservare i 250 grammi dell'impasto per ottenere la pasta acida per la prossima panificazione.

Io impasto i 250 grammi di pasta acida insieme ad 1 Kg di farina (ma anche meno, volendo). Poi faccio lievitare l'impasto per circa 15 ore prima di cuocerlo in forno. In generale credo che l'impasto ottenuto con la pasta acida va fatto lievitare per almeno 4 ore (almeno così mi è stato riferito), anche se penso che più sta a riposare meglio è. Probabilmente l'ideale sarebbe preparare l'impasto la sera e infornarlo la mattina (o viceversa). Anche se non parlo a ragion veduta visto che non sono molto esperto in queste cose, a differenza di quello che forse potrebbe sembrare!:) Oltretutto so che si può procedere anche con diverse fasi di impasto e lievitazione, ma come detto prima sono pur sempre un neofita e quindi ne so abbastanza poco.

Trovo che il pane ottenuto con questo procedimento sia "migliore" di quello ottenuto con il precedente metodo che utilizzavo, sia per un discorso di qualità (è più gustoso) sia per un discorso di conservazione (si conserva in buono stato più a lungo).

Oltretutto costituisce un ulteriore passo verso una decrescita dei consumi e anche una diminuizione del "costo" del pane casalingo, dovute al fatto che preparando in casa la pasta acida evito di comprare preparati in busta per la lievitazione del pane.

Non va dimenticato neanche il fatto che il pane ottenuto con lievitazione naturale è più salutare di quello ottenuto con i lieviti industriali (basta fare una rapida ricerca su internet visto che ci sono molti siti dedicati all'argomento).

Se avete ulteriori suggerimenti da dare, vi prego fatelo perchè come vedete ne ho assoluto bisogno. Al momento non mi resta che condividere questa mia esperienza sperando possa tornare utile a qualcuno e ringraziare riboeri per avermi dato tempo fa la dritta per la preparazione della pasta acida in casa!

Ciao,
Daniele
 
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martedì, dicembre 12, 2006
Festa della Decrescita Felice
14, 15 e 16 dicembre: Festa della Decrescita Felice a Pontedilegno (BS)

Dopo due anni di festeggiamenti decrescenti alla Sala Reale della Stazione Centrale di Milano, Santa Lucia, Patrona della Decrescita Felice, fa le valigie, mette le catene da neve e si trasferisce a Pontedilegno.

I LABORATORI
La ricetta dello yogurt autoprodotto ha girato in rete più veloce di un virus. Ormai il lactobacillus per noi non ha più segreti.
Caterpillar esplora ora le nuove frontiere dell'autoproduzione organizzando, per le dirette di giovedi 14 e venerdi 15 dicembre i laboratori di PANE e DETERSIVO fatti in casa. Vi aspettiamo alla sala consiliare di Pontedilegno!

LA GARA
Sabato 16 dicembre, puntata speciale dalle 13.40 alle 15 per saggiare le capacità decrescenti degli ascoltatori.
Alla sala consiliare di Pontedilegno, gara per le specialità di YOGURT, PANE e DETERSIVO. I partecipanti dovranno portare un assaggio delle loro autoproduzioni. Una commissione di degustatori di PANE e YOGURT e di saggiatori di DETERSIVO giudicherà il prodotto migliore. Si può concorrere anche per tutte e tre le specialità.
Per iscriversi, inviare una mail a caterpillar@rai.it.

I DECONCERTI
Certo, gli U2 sono bravi. Anche i Queen lo erano.
Ma avete presente quanto costa in termini energetici trasportare due gruppi di questo calibro dall'Irlanda o dalla Gran Bretagna?
Vista anche l'impossibilità di resuscitare il compianto Freddy Mercury, Caterpillar ha affrontato la questione con il consueto pragmatismo.
Niente più tir inquinanti pieni di cavi, proiettori, gruppi elettrogeni e sostanze stupefacenti in viaggio da un capo all'altro dell'Europa. Le risorse interne ci sono e vanno sfruttate.
Tre grandi cover band si esibiranno nel fantastico DECONCERTO di sabato 16 dicembre, in diretta dalle 21 dal Palazzetto dello Sport di Pontedilegno: gli AN CAT DUBH (gli U2 di Lucca), i KILLER QUEEN (la tribute band ufficiale, di Firenze) e la BANDA OSIRIS (citazione di se stessa).
Un deconcerto gratuito, decrescente e felice!

Per informazioni e prenotazioni: 0364 92097 oppure 0364 92639
 
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domenica, dicembre 10, 2006
Il cibo che sfida la natura
Qualche settimana fa ho letto il libro "Il Grande Tritacarne", allegato al dvd del film "SuperSizeMe". In questo libro ci sono alcuni estratti da "Non mangiate questo libro" di Morgan Spurlock. Qui vi propongo, sperando di non incorrere in nessuna violazione del diritto d'autore, un brano abbastanza illuminante (e oltremodo "rivoltante") circa la qualità del "cibo" che viene servito nei "ristoranti" della catena McDonald's. Buona lettura (si fa per dire), e scusate la lunghezza.



[...] Comunque, quando la gente scoprì che le normali McNuggets erano fondamentalmente Rimasugli Assortiti di Pezzi di Pollo Macinati e Riappiccicati Insieme in Forma di Piccoli Bocconcini con l'Aggiunta di Tonnellate di Prodotti Chimici, McDonald's introdusse la nuova versione di prima qualità: Pepite di Pollo McNuggets Fatte con Carne Bianca. Esatto, America, adesso c'è pollo vero nelle nuove McNuggets! Andate sul sito (se potete) e scoprite quali altri delizioni ingredienti contengono le nuove McNuggets di petto di pollo. Sorpresa! Sono ancora piene di tonnellate di sostanze chimiche (Mmmm, sostanze chimiche!).

Che ne dite di prenderci anche delle patatine con le nuove McNuggets di vero petto di pollo? Oggi negli Stati Uniti l'ortaggio più mangiato sono le patatine fritte. No, non le patate, le patate fritte. La gente dice: "Be', le patatine fritte sono fatte di patate. Perché dovrebbero fare male?". In certi casi posso anche essere d'accordo. Il posto dove ogni tanto mi piace andarmi a fare un hamburger con le patatine in realtà pela, affetta e frigge le patate direttamente sul posto. Ingredienti: patate e olio, con una spolverata di sale sopra. Nient'altro. Dalla patata alla padella.

Ma anche queste patatine fanno male se ne mangiamo troppe, perchè sono impregnate di grasso. Non bisogna dimenticare infatti che le patate sono costituite per quattro quinti di acqua. Qunando si friggono nell'olio da cucina bollente, l'acqua viene eliminata sotto forma di vapore e il grasso dell'olio va a prendere il posto dell'acqua. E' il grasso che le rende così buone - e così dannose. L'organismo non è in grado di bruciare tutte le calorie extra presenti in quel grasso, così le conserva nel sedere, nelle cosce e nello stomaco.

E questo sono patatine fritte vere. Le patatine fritte di McDonald's non si possono definire vere. Quando arriva in bocca, una patatina di McDonald's non ha più molto in comune con le patate Russet Burbanks cresciute nei campi ricoperti di pesticidi. Diamo uno sguardo agli ingredienti:
Patate, olio di soia parzialmente idrogenato, aromi naturali di origine bovina, destrosio, pirosfato acido di sodio (per mantenere il colore naturale). Cotte in oli vegetali parzialmente idrogenati (possono contenere olio di soia parzialmente idrogenato e/o olio di mais parzialmente idrogenato e/o olio di canola parzialmente idrogenato e/o olio di cotone e/o olio di girasole e/o olio di mais).
Sapevate che c'è tutta quella roba dentro una semplice patatina fritta? Io di sicuro no. Pensavo che le patatine fritte fossero patate fritte nell'olio e basta. Semplici, come dovrebbero essere. Ma per mantenere uniformi in tutto il mondo la forma, il gusto, l'aspetto e l'odore delle sue patatine fritte, McDonald's ha trasformato questo classico piatto americano in un sottoprodotto chimico. E' più simile alla plastica che a un alimento. (Ancora oggi, per me le patatine di McDonald's sanno di plastica affumicata. Sono il "cibo" più innaturale, irreale, chimico che io possa immaginare.)

Non mi credete? Per provare quanto dura il McFrankenCibo, ho comprato vari prodotti McDonald's - un Filet-O-Fish, un Big Mac, patatine fritte, insomma, i soliti sospetti - e delle patatine vere e un hamburger vero in un locale che non vende fast-food, li ho messi tutti in grandi barattoli di vetro con il coperchio nel mio ufficio e ho osservato la natura fare il suo corso. Due settimane, un mese, sei settimane.

A poco a poco tutto si è deteriorato e si è decomposto, secondo le normali leggi della natura. Il mio ufficio è diventato terribilmente maleodorante. Solo quelle patatine McDonald's si rifiutavano di morire. Sono passate dieci settimane, e quei mostri della natura non si erano decomposti neanche un po'. Non avevano fatto la muffa, non si erano deteriorate, non era successo nulla. Dopo dieci settimane, sembravano ancora appena comprate. A quel punto il mio stagista è rimasto scioccato a quella vista e quell'odore disgustoso e ha buttato via tutto, per cui non ho modo di sapere quanto sarebbero durate ancora quelle McFrankenPatatine. Per quel che ne so, sono da qualche parte nella discarica di Fresh Kills, ancora identiche al giorno in cui le ho comprate.

L'ispirazione per quell'esperimento mi è venuta da uno scherzo che avevo fatto a un mio amico, un produttore di Mtv, alcuni anni prima. Ci facevamo degli scherzi a vicenda, come nasconderci del cibo l'uno nell'ufficio dell'altro, in posti dove non riuscivamo a trovarlo fino a quando la puzza di cibo in putrefazione non riempiva la stanza. Avevo appena trovato un sandwich al prosciutto di colore verde sotto la mia scrivania che puzzava come i boxer di Shaq O'Neill a fine partita. Come vendicarmi? Andai a un McDonald's, comprai un hamburger di pollo e mi intrufolai nel suo ufficio. Lo scartai e lo appoggiai sopra la sua libreria, nascosto dietro a un birillo da bowling e a un pallone da basket, souvenir di quando lavorava per Mtv Sport.

"Non lo troverà mai" sogghignai.

Caspita, avevo proprio ragione. Le settimane passavano e non succedeva nulla che destasse l'attenzione del mio amico. Nessun odoro di pollo in putrefazione che lo spingesse a cercare. Passarono due mesi, e ancora nulla. Una volta, mentre era fuori, entrai di soppiatto nel suo ufficio per controllare. L'hamburger era ancora lì dove l'avevo nascosto. La salsa si era asciugata e la lattuga si era rattrappita fin quasi a scomparire, ma il panino e il pollo sembravano come nuovi.

"Tra poco deve per forza cominciare a puzzare" pensai.

Passarono altri due mesi. Mtv cancellò il mio programma e, prima di andare via, andai a salutare i colleghi. L'ufficio del mio collega non puzzava ancora di McChicken morto. Non fece nessun accenno quando ci stringemmo la mano e ci salutammo. Passarono molti altri mesi. Poi, un giorno mi chiamò e mi chiese quando ero andato nel suo ufficio.

"Di che parli?" dissi sinceramente sorpreso. Era passato così tanto tempo che avevo dimenticato completamente lo scherzo.

"Ho trovato il regalino che mi hai lasciato" ridacchiò. "Quando sei stato qui?"

"Ma ho lasciato quella cosa lì quasi un anno fa" urlai.

"Cosa? Non ci credo" rispose.

"Perché? Che aspetto ha?"

"Sembra," disse lentamente "come se l'avessi comprato ieri."

Mi disse che aveva trovato il panino per puro caso. Nulla, nessuna puzza aveva attirato la sua attenzione. Se non l'avesse visto, per quanto tempo sarebbe durato intatto e incontaminato? Un altro anno? Per sempre? La risposta forse è proprio "per sempre". Dopo l'uscita di Super Size Me, mi chiamò un tizio di nome Matt Malmgren, un ingegnere informatico di Burlington, nel Vermont. La notte di Capodanno del 1991 era con degli amici in giro per Boston e tornando a casa comprò un paio di cheeseburger, ne mangiò uno e mise l'altro nella tasca del cappotto, con l'idea di mangiarlo dopo. "Non indossai più quel cappotto fino all'autunno successivo," mi disse, "e l'hamburger era ancora in tasca. Si era seccato ma, a parte questo, era perfettamente conservato. E' stato interessante."

Lo tenne come souvenir. E poi cominciò a collezionarli, uno all'anno. Nell'autunno del 2004, il museo di McCibo indistruttibile di Matt si era arricchito dei seguenti pezzi:

  • Cheeseburger McDonald's originale del 1991
  • Cheeseburger e Big Mac McDonald's 1992
  • Hamburger Burger King 1993
  • Hamburger McDonald's 1994
  • Cheeseburger McDonald's 1995-2003

Che dire? E' un collezionista. E mi ha anche mandato le foto come prova.

"Li tengo sugli scaffali del nostro soggiorno. Hanno ancora un odore da hamburger, ma i nostri cani li ignorano, dopo i primi giorni. Si possono ancora vedere la salsa speciale, la lattuga e i cetriolini sopra e il formaggio sotto la carne. Col tempo i panini tendono a sbriciolarsi, ma gli altri ingredienti rimangono pressochè uguali. La cosa più sorprendente in assoluto è la carne. Mantiene forma e colore - tutte le annate hanno esattamente lo stesso aspetto."

Matt afferma che sua moglie "tollera" la collezione, anche se una volta ha cercato di convincerlo a venderla su eBay.

Mi ha detto che il mio esperimento sarebbe potuto andare avanti ancora per molto, molto tempo, se non avessi messo il cibo dentro i barattoli di vetro chiusi. Il coperchio ha intrappolato l'umidità e la condensa che favoriscono l'insorgere di funghi e il deterioramento. Avrei dovuto lasciare il tutto all'aria aperta e lasciarlo invecchiare elegantemente fino alla prossima era glaciale, come aveva fatto lui.

Gli ho chiesto in che modo quell'esperimento avesse influenzato il rapporto con il fast food della sua famiglia. Mi ha risposto che le sue figlie, di due e quattro anni, aveva mangiato da McDonald's un paio di volte, ma, a parte questo, "non mangiamo carne rossa da circa dieci anni e raramente andiamo nei fast food, se non per usare il campo giochi. Durante l'inverno i bambini piccoli non hanno molte occasioni per giocare, da queste parti."

Rifletteteci: il cibo non è fatto per essere indistruttibile. Il cibo deve andare a male se non viene mangiato. Il cibo è il prodotto più biodegrabile che esista in natura.

Adesso chiedetevi: cosa permette a questi alimenti di sfidare la natura? E cosa fa questo McCibo indistruttibile e non biodegradabile al vostro organismo?

Conoscete la risposta: nulla di buono.[...]
 
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mercoledì, dicembre 06, 2006
Smontiamo le superfici della GDO
Il modello della grande distribuzione francese è nato dopo la Seconda Guerra Mondiale, in seguito a un lungo periodo di miseria e crisi economica: l’intero paese è rovinato, le derrate alimentari sono rare, le vie commerciali difficili. I prezzi impennano. Nel dopoguerra, la classe politica sostiene lo sviluppo; l’equazione consumo-crescita-impiego sta per diventare una vera e propria religione. Nel 1949 Edouard Leclerc apre l’antenato dell’hard discount. Le piccole botteghe diventano dei minimarket (meno di 400 m2); in seguito si trasformano in supermercati (da 400 a 2500 m2) e in fine in ipermercati (più di 2500 m2). Si entra nell’era dei consumi del Trentennio Glorioso e si costruiscono grandi e medie superfici da adibire alla grande distribuzione. La Francia diventa il paese europeo con la più elevata concentrazione di supermercati: in Italia ogni milione di abitante ci sono 2 supermercati, 3 in Spagna, 10 in Belgio, 13 in Germania e Gran Bretagna e 15 in Francia. Prende forma una potente rete di distribuzione: solo sei centrali d’acquisto controllano il mercato francese.

Corruzione e controllo del sistema

Con il governo Mitterand, l’autorizzazione per costruire un ipermercato è subordinata al pagamento di una percentuale ai partiti e ai gruppi di costruzione locale. Si parte da una cifra corrispondente a 1 milione di Euro e si arriva a 3 milioni. L’esplosione delle autorizzazioni di costruzione coincide con il governo di François Mitterand: in nome della sacrosanta crescita! I grandi supermercati divengono i creatori dell’impiego: per un posto di lavoro precario creato, ne vengono eliminati 5 stabili negli altri settori. Inizia la mondializzazione disumanizzante: la grande distribuzione lega l’appropriazione incondizionata di ricchezze, il monopolio del potere, la distruzione del tessuto economico e sociale, lo sviluppo di un’agricoltura intensiva; incoraggia la produzione nei paesi del Sud, lo sfruttamento dei lavoratori e dei bambini nel Terzo Mondo. Infine esporta il proprio modello, come arma di distruzione di massa, verso i paesi sprovvisti di una protezione sociale. I politici sono stati per anni i collaboratori attivi e passivi di questo processo. Allo stato attuale è loro compito prendere le misure necessarie: occorre proibire i finanziamenti illeciti nel rispetto dei principi fondamentali del commercio, deve essere messo a punto un regolamento anti-trust, ed è necessario ridare ai fornitori il potere, confiscato dalla grande distribuzione, di fissare il prezzo finale stampandolo sulla confezione del prodotto. Questo strumento esiste già per i libri, i francobolli, i giornali, le sigarette e i farmaci.

Commercio itinerante come uscita di sicurezza

I consumatori possono tenere in considerazione delle alternative di acquisto: il commercio itinerante, ad esempio, è scomparso con la proprietà dell’automobile per tutti; un furgone di frutta e verdura che visita 200 clienti al giorno corrisponde a 200 automobili nel garage! Nelle zone rurali è un servizio diretto tra produttore e consumatore. Un altro percorso da sviluppare sono le associazioni per la salvaguardia dell’agricoltura contadina, AMAP (Association pour le Mantien de l’Agriculture Paysanne). In questo momento stanno conoscendo in Francia un successo senza precedenti. I membri dell’associazione finanziano in anticipo la produzione di un contadino che assicura loro, ogni settimana, una cassetta di frutta e verdura di stagione. È un modello che può essere riprodotto su larga scala e coinvolgere altre produzioni. La grande distribuzione non è meno cara per i prodotti freschi. La potente arma pubblicitaria ha convinto la maggior parte dei consumatori a non privilegiare i prodotti locali, che rappresentano un’alternativa vantaggiosa ai supermercati.

Il sostegno ai contadini

In Francia ogni venti minuti (e nell’Europa dei 15 ogni 3) 1 contadino non è più occupato nell’agricoltura; stabilire dei prezzi vantaggiosi per i produttori può ancora motivare i giovani agricoltori. Si tratta di uno strumento efficace per uscire dalla logica di un’agricoltura intensiva, standardizzata, produttivista, inquinante e sovvenzionata. Stabilire dei prezzi equi per i produttori non significa un aumento dei costi per il consumatore; in Francia un comune su due non ha più il commercio al dettaglio. Ai piccoli commercianti non resta che chiudere bottega. Per cambiare il meccanismo di distribuzione occorre estendere l’esperienza associativa locale a una rete che unisca contadini, consumatori e commercianti in un percorso che rispetti chi sta a monte e chi a valle. Questo è un vero commercio equo ed etico e non esotico o di nicchia: un commercio per tutte le persone e per tutti i prodotti in una reale riappropriazione dei circuiti di distribuzione.

Il mito del supermercato per il popolo

Dalla vecchia destra, alla sinistra liberale e ai pochi comunisti rimasti, tutti condividono la stessa parabola: “Occorre abbassare i prezzi per rilanciare la crescita al consumo”, ignorando che la frase “i nostri acquisti sono i nostri posti di lavoro” ha perso significato. L’aumento dei consumi corrisponde ormai a un aumento delle importazioni provenienti dai paesi dove la vita è meno cara. Il fenomeno è destinato a crescere con l’applicazione della nuova “Direttiva Bolkestein” che trasforma la de-socializzazione del lavoro in una norma europea, nel nome della libera concorrenza. La destra conservatrice segue le regole del libero mercato; la sinistra socialista dal 1983 si è convertita al reganismo tatcheriano e sostiene la valenza sociale della grande distribuzione: il supermercato difende il potere d’acquisto delle classi più svantaggiate. Possiamo riappropriarci dei nostri consumi! Privilegiando la vendita diretta, i mercati, le piccole attività commerciali di quartiere, le botteghe che distribuiscono i prodotti da agricoltura biologica e del commercio equo e solidale; occorre unirsi nelle reti cooperative di acquisto e di vendita esistenti e inventarne delle nuove. Un altro mondo è possibile, ma dirlo ritornando dal supermercato non è sufficiente. BOX Auchan e Carrefour attraversano le Alpi In Italia, la grande distribuzione francese domina una consistente fetta del mercato. Alcune insegne, un tempo nelle mani di imprenditori italiani, sono finite nell’orbita di multinazionali francesi; GS, prima controllata dalla famiglia Benetton e Del Vecchio è ora nelle mani del gruppo Carrefour, mentre La Rinascente fa parte della società Auchan. Nel 2000 Christian Jaquiau, un economista impiegato presso la Camera di Commercio a Parigi, denuncia i retroscena della grande distribuzione: pubblica Les Coulisses de la Grande Distribution primo e unico libro apparso in Francia sulle pratiche della grande distribuzione. Jacquiau racconta come la Francia sia diventato il paese con il numero più elevato di ipermercati e supermercati per abitanti; spiega come i gruppi che controllano la grande distribuzione, con l’appoggio delle leggi e delle istituzioni francesi, siano i diretti responsabili della standardizzazione dei prodotti e dei consumi. Jaquiau, ne Les Coulisses, denuncia il potere contrattuale della grande distribuzione e individua i compromessi che deve affrontare un industriale desideroso di entrare nella gdo: gli standard qualitativi richiesti, l’elevata capacità di vendita e le condizioni di pagamento a vantaggio del distributore; questi elementi escludono i piccoli produttori dal circuito della grande distribuzione e progressivamente dal mercato. Il sistema della grande distribuzione segue le stesse regole in tutto il mondo, avvicinandosi progressivamente al colosso americano Wal Mart: il controllo assoluto dei fornitori, il potere di determinare l’accessibilità dei prodotti nel mercato, il condizionamento delle scelte dei consumatori è la ricetta vincente.

Tratto da www.ilconsapevole.it
 
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domenica, dicembre 03, 2006
Luci d'artista a Torino
Un percorso espositivo lungo venti chilometri, scandito da 545 mila lampadine (di cui non si precisa il voltaggio) accese dall’Azienda Energetica Metropolitana. Rischiareranno a giorno le notti invernali di Torino per tre mesi, dal 1° novembre al 31 gennaio. Tanto dura il Natale in questa città da sempre all’avanguardia dei cambiamenti. In questo laboratorio del futuro in cui si sta innovando anche il calendario. Le chiamano "Luci d’artista" e sono uno dei più colossali sprechi energetici che siano mai stati concepiti. Senza averne la minima consapevolezza. Dio acceca quelli che vuol perdere, scriveva il profeta Isaia. Gongola l’assessore alla cultura tra le tartine, scrive orgoglioso il giornale cittadino. Roma ci sta copiando. Ma noi siamo stati i primi. Uno a zero.

Da questa cascina sperduta tra i boschi e le colline del Monferrato, se guardi dalla parte di Torino, anche senza le luci d’artista tutte le notti si riverbera in cielo un lucore soffuso, sempre più chiaro man mano che sali verso i paesi più alti, dove la notte non è già più notte e le costellazioni fai fatica a distinguerle. A Torino organizzano convegni per denunciare l’inquinamento luminoso, col patrocinio di qualche assessorato, comunale, provinciale o regionale, che differenza fa? Senti, senti: Il cielo stellato è stato proclamato patrimonio dell’umanità. Organizzano convegni sulla Convenzione di Kyoto, col patrocinio di qualche assessorato, per denunciare con toni indignati l’amministrazione Bush (non gli americani che sono un grande popolo, solo chi inopinatamente li sta governando) perché ha deciso di non ratificare l’impegno di diminuire le emissioni di CO2 assunto dal suo predecessore. E poi cancellano il cielo dalla città, che per tre mesi non ne resti traccia, scaricando in atmosfera tonnellate e tonnellate di anidride carbonica in più di quella scaricata normalmente negli altri mesi dell’anno. Schizofrenia. Non in senso metaforico, ma etimologico.

«Perché, tu non scarichi la tua dose giornaliera di CO2 in atmosfera?», mi ha chiesto una voce stizzita. «Lo faccio. Purtroppo lo faccio, ma faccio anche attenzione a scaricarne il meno possibile. E mi propongo di diminuirla. Non di aumentarla. Allo stato attuale della tecnologia non posso farne a meno se non rinunciando ad alcuni servizi di cui non sono ancora pronto a privarmi: il frigorifero, la cucina a gas, l’impianto di riscaldamento. Ma la CO2 scaricata dalle luci d’artista a che serve?».
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Casualmente tre anni fa, più meno in questo periodo, ero a Torino per questioni di lavoro, e le ho viste anche io le "Luci d'artista". Una di quelle sere, mi capitò proprio di chiaccherare con un amico torinese e, parlando parlando, arrivammo alla considerazione di quanto questa sontuosa illuminazione fosse inutile e dannosa, ovviamente guardando la cosa da un punto di vista strettamente energetico/ambientale. Ammesso e non concesso che ad un'operazione del genere si possa concedere una qualche valenza artistico/culturale...

Certo nel caso in questione lo spreco energetico è stato innalzato a simbolo della città (alla faccia dei tanti convegni di cui parla Pallante nel suo articolo), ma purtroppo quello delle luminarie nel periodo natalizio non è un problema che riguarda soltanto il capoluogo piemontese (nè dubito del fatto che altre amministrazioni comunali si siano affrettate a copiare l'"illuminante" esempio di Torino...).

E' il periodo natalizio che incombe ormai sempre più inesorabilmente, probabilmente il periodo più folle, frenetico ed energivoro di tutto l'anno, fra riscaldamenti, corsa a regali più o meno inutili, alberi di natale, luci che lampeggiano, grandi abbuffate, caos cittadino e chi più ne ha più ne metta.

Ovviamente c'è sempre la possibilità di tirarsi fuori, almeno in parte, da questa follia collettiva. Preferire un sobrio presepe ad un consumistico albero di natale, regalare oggetti del commercio equo e solidale, o magari ancora meglio cesti con prodotti alimentari biologici/equosolidali o, se si è in grado, autoprodurre i propri regalini natalizi, fare pranzi/cene (preferibilmente vegan) si abbondanti ma senza inutili eccessi e sopratutto limitando gli sprechi, non usare stoviglie usa e getta (o se proprio non si può farne a meno preferire quelle biodegrabili) e così via discorrendo. In fondo non si tratta altro che di applicare anche al periodo natalizio uno stile di vita equo e sostenibile.

Alla prossima,
Daniele

PS: a proposito di stili di vita equi e sostenibili vi consiglio la lettura del post odierno sul blog di Vera.
 
posted by Daniele at 11:20 AM | Permalink | 1 comments