giovedì, dicembre 21, 2006
Allevamenti e Decrescita
Dalla mailing list del sito www.decrescita.it, ricevo e posto volentieri questa lettera, di cui condivido appieno il merito della questione: ritengo infatti che, da un lato, la produzione e il consumo di carne costituisce comunque uno spreco rispetto alla produzione e il consumo di cibi vegetali; dall'altro, invece, la produzione e il consumo di carne costituisce il perpetuarsi dello sfruttamento di essere viventi ridotti alla funzione di mero oggetto. Cmq è inutile ripetere concetti che sono espressi in forma sicuramente migliore nella lettera sottostante! Buona lettura.



Sulle pagine dedicate alla decrescita di Carta dell’8 settembre scorso leggo, nell’articolo Rivoluzioni nel borgo di Jacopo Fo, questo passo: «Oggi [Varese Ligure] è (...) esempio per tutta l’Europa di come economia, ecologia e benessere sociale possano convivere. L’agricoltura e l’allevamento sono stati convertiti al biologico, con notevole aumento di fatturato e occupazione. La cooperativa Carni San Pietro Vara, creata nel 1997, fattura oggi 750.000 euro all’anno, 1,3 milioni la cooperativa casearia. Non si allevano le mucche frisone, considerate vere e proprie macchine da latte e capaci di produrne fino a 70 litri al giorno, si allevano le bruno alpine perchè sono di razza italiana (...). Fanno meno latte, ma è più sano e di straordinaria qualità».

In un comunicato ANSA dell’1 dicembre leggo: «”Il bestiame genera più gas serra del settore dei trasporti” si legge in una ricerca della FAO, secondo cui gli allevamenti sono fonte del 18% di tutte le emissioni di anidrite carbonica legate alle attività umane. Oltre alla CO2 il settore degli allevamenti è responsabile del 65% delle emissioni di protossido di azoto, prodotto dal letame, un gas 296 volte più pericoloso dell’anidrite carbonica per il riscaldamento globale del pianeta. E del 37% del metano legato alle attività umane, una conseguenza del particolare sistema digestivo dei ruminanti. Le urine emettono il 64% dell’ammoniaca riversata nell’ambiente, che contribuisce ad aumentare le piogge acide. La FAO prevede un raddoppio tra il 2001 e il 2050 della produzione di carne, che passerà da 229 a 465 milioni di tonnellate, e di quella di latte, che passerà da 580 milioni di tonnellate a 1043. Con conseguente aumento dell’inquinamento.»

Rileggiamo ora il testo di Jacopo Fo alla luce di queste informazioni, cui si aggiungano le grandi porzioni di terreno agricolo sottratte all’alimentazione umana per destinarla alla produzione di foraggio per il bestiame. Sono indubbi i meriti di Varese Ligure in campo agricolo ed energetico, ma quando fra essi si inserisce anche l’allevamento significa che non si è ben compresa la portata dell’idea di decrescita, che non è un semplice bricolage produttivo, ma presuppone un radicale mutamento del nostro modo di rapportarci con la totalità del pianeta: la totalità, non solo il nostro borgo, magari ormai biologico e solare eppure sempre borgo nel suo essere soltanto un pezzetto di mondo e in quanto tale inconsapevole della totalità. Ma partecipe di e agente su di essa, che se ne accorga o no.

Varese Ligure, dunque, produce gas serra, Varese Ligure spreca terreno agricolo dirottandolo verso una forma di alimentazione dispendiosa e inutile quale è la carne. Biologica finché si vuole, ma pur sempre carne. Questa non è decrescita, è al più sviluppo “sostenibile” (fino a quando?). Proprio ciò cui la decrescita si oppone.

Ma è anche qualcosa di più: è perpetuazione di un assunto culturale che pervade l’intera nostra civiltà dal neolitico in poi e che nel capitalismo occidentale ha trovato la sua massima attuazione: lo sfruttamento del vivente ridotto a oggetto, uno dei più funzionali strumenti delle economie basate sul profitto e sulla crescita indefinita. Proprio quella via che non vogliamo più seguire.

Una precisazione finale: l'oggetto di queste riflessioni non è tanto quel che accade a Varese Ligure quanto il modo in cui ci viene presentato nell'articolo di Jacopo Fo, che pare descriverci come un punto di arrivo quello che è invece solo un primo passo lungo una strada ancora in gran parte da percorrere.

Se da una parte è vero che non è pensabile raggiungere il nostro obiettivo in un sol colpo, il che fa sì che, nell'attuale panorama, dobbiamo guardare a Varese Ligure come a una esperienza interessante, dall'altra mi sembra che ridurre la decrescita soltanto a un po' di pannelli solari e di prodotti biologici significhi annullarne la notevole portata culturale e alla fine renderla inoffensiva.

Non sono insomma un integralista, un seguace del 'tutto e subito' ma sono anche consapevole della notevole capacità del sistema (nel quale includo componenti pseudo alternative) di fagocitare anche le idee più nuove affinchè nulla in realtà cambi. E temo che l'articolo di Jacopo Fo vada in questa direzione.

Matteo Cocconoli

Fonte: http://liste.decrescita.it/wws/arc/decrescita/2006-12/msg00031.html
 
posted by Daniele at 9:45 AM | Permalink |


1 Comments:


  • At 8:00 PM, Anonymous Anonimo

    Lo stesso interessantissimo argomento e' ripreso, e commentato, su questo post:
    http://www.consapevolmente.org/forum/viewtopic.php?t=328

    Ciao!