giovedì, giugno 28, 2007
Schiavi del Supermercato 2
Qualche mese fa ho postato una presentazione del libro "Schiavi del supermercato". Adesso vi propongo una breve recensione tratta dal sito www.ilconsapevole.it. Buona lettura.



“Schiavi del supermercato”: un viaggio tra le ombre della grande distribuzione organizzata e le dinamiche del consumo di massa. Un fenomeno in continua espansione che sta modificando in modo preoccupante la realtà economica ed il paesaggio urbano delle nostre città. È di poche settimane fa l’allarme lanciato dalla Confesercenti sulla proliferazione incontrollata dei grandi centri commerciali, a danno delle reti di commercio locale e tradizionale. Nella prima parte del libro, gli autori ci presentano i grandi gruppi multinazionali della distribuzione di massa: dall’alimentazione (Ipercoop, Esselunga, McDonald’s e Wall Mart) al tempo libero e la tecnologia(Ikea e Mediaworld). Ed ecco apparire dietro il volto e sorridente e pulito (o ripulito dalla beneficenza) della pubblicità una prassi quotidiana ben diversa: mobbing e politiche del personali sessiste, controllo su i fornitori, manipolazione dell’infanzia, politiche industriali poco sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale, soprattutto nei paesi del terzo mondo.

Nella seconda parte del libro ci vengono poi presentate alcune alternative concrete che stanno nascendo nel cuore della società dei consumi: mercati locali del biologico e dell’usato, scambi non monetari, gruppi d’acquisto solidali e distretti d’economia solidale.

Tutte proposte volte allo sviluppo di un nuovo modello economico e sociale di consumo, basato sulla dimensione locale e comunitaria perché “acquistare prodotti locali significa una salute migliore, meno spreco di imballi, aumento della diversità biologica, ripresa della vita rurale, mentre il denaro rimane nella comunità locale”.

“Schiavi del supermercato” è un ottimo esempio di critica lucida e non fanatica del consumismo, capace di mostrarci le diffuse aspirazioni alla semplicità ed alla decrescita, non come mode effimere ma come concrete basi per un nuovo modello di sviluppo delle comunità.
 
posted by Daniele at 12:10 PM | Permalink | 2 comments
martedì, giugno 19, 2007
Riduzione/Riutilizzo
Sulla scia dell'articolo sui rifiuti pubblicato qualche giorno fa, volevo riportarvi una mia piccolissima esperienza e riflessione in merito.

Da circa un mesetto facciamo regolarmente la spesa presso un negozietto biologico a Palermo.

Ovviamente quando andiamo a fare la spesa abbiamo le nostre belle e resistenti buste di tela, tuttavia non possiamo in alcun modo evitare (o meglio un modo c'è ma ci arrivo dopo...) le bustine di plastica per l'ortofrutta.

In sostanza, se io compro: patate, cipolle, zucchine, carote, zucchine, mele, arance e magari fermiamoci qui che non mi viene in mente altro, succede che arrivo a casa mettiamo la roba nel frigo e ci ritroviamo con sette bustine di plastica che contenevano l'ortofrutta e di cui in generale non sappiamo che farcene. Sono talmente piccole che diventa difficile anche pensare di utilizzarle come sacchetti della spazzatura.

Dopo un pò di tempo ho pensato che forse sarebbe stato conveniente per tutti se, piuttosto che continuare ad accatastare questi sacchettini a casa non avendo il cuore di buttarli, avessi riutilizzato questi sacchettini esattamente per lo scopo per cui sono stati progettati e cioè come "contenitori" temporanei (dal negozio a casa) di ortofrutta.

E quindi da allora ogni settimana mi presento al negozietto biologico con questi sacchettini "riciclati" (ma forse in questo caso sarebbe meglio dire "riutilizzati") per fare la mia spesa ortofrutticola settimanale.

I gestori del negozio si sono abbastanza stupiti della cosa (e ci hanno elogiato, e anche ringraziato, tantissimo) perchè in tanti anni di attività siamo i primi ad aver avuto un'idea del genere.

Invece la cosa che stupisce me è proprio il fatto che noi siamo i primi ad aver avuto una tale ideona del genere! Ma come? Un negozio biologico dovrebbe in teoria avere clienti "attenti" alle tematiche relative all'ambiente e, in tanti anni, noi siamo i primi ad avere avuto una tale illuminazione? La cosa mi lascia alquanto perplesso.

Forse, in generale, piuttosto che lamentarsi tanto per la costruzione di un inceneritore di rifiuti bisognerebbe interrogarsi sui propri consumi e su quanti rifiuti produciamo giornalmente! Ragionare su quante sono le modalità con cui noi possiamo interferire con questo circolo vizioso, riducendo i rifiuti che produciamo giornalmente e ragionando sui possibili riutilizzi degli stessi prima di considerarli "spazzatura"!

Un semplice gesto, come quello di cui vi ho parlato sopra, che non richiede nessuno sforzo (se non un minimo di organizzazione) evita la produzione di tantissimi rifiuti, evita che decine, centinaia, migliaia, milioni di sacchettini di plastica vengano prodotti, che vadano in discarica, che vengano riciclati, che finiscano bruciati in un inceneritore!

Fine della riflessione.
 
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venerdì, giugno 15, 2007
Cornetti Vegan
Lo scorso anno, più o meno in questo periodo, mi sono cimentato un paio di volte nell'autoproduzione casalinga dei cornetti vegan, prendendo la ricetta dal blog "NoAnimalIngredients".

Li ho anche preparati, con successo, quando nel mese di agosto dello scorso anno sono stati ospiti per qualche giorno a casa nostra alcuni amici vegan.

Ora, non so perchè, ma dopo quella volta non li ho più preparati!

Me li sono letteralmente dimenticati! E dire che tutto sommato sono anche facili da preparare!

Però, per il prossimo mese di agosto, si preannunciano altri ospiti vegan a casa nostra e quale occasione migliore per rispolverare questa preziosa ricetta?

Quindi, un paio di settimane fa, sono ricominciati gli esperimenti, visto che comunque è passato un pò di tempo dall'ultima volta e non vorrei farmi trovare impreparato per i nostri amici!

Ricorderete forse le considerazioni di qualche tempo fa circa l'acquisto di latte di soia confezionato in buste di tetrapak e i successivi tentativi, insoddisfacenti, di autoproduzione casalinga. Bene diciamo che al momento la soluzione relativa al problema del consumo di latte di soia (avendo fallito con l'autoproduzione manuale e avendo dubbi sull'acquisto della VeganStar per la mia idiosincrasia nei confronti degli elettrodomestici troppo "specializzati") è stata quella di ridurre considerevolmente il suo utilizzo, per cui spesso a casa ne siamo sprovvisti.

Tutto questo discorso sul latte di soia mi serve soltanto per dire che, rispetto alla ricetta originale che ho linkato sopra, ho utilizzato l'acqua anzichè il latte di soia (cosa che ho fatto recentemente, con discreti risultati, anche per altre preparazioni).

Forse, in questo caso, è bene aggiungere un pò di zucchero in più perchè l'acqua è ovviamente meno dolce del latte di soia, ma per il resto il risultato mi è sembrato analogo se non addirittura migliore!

Insomma, non mi resta che augurare buoni cornetti vegan a tutti!
 
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martedì, giugno 12, 2007
Se rifiuto il rifiuto……
Oggi posto un interessante articolo sui rifiuti che è stato scritto da due miei amici "decrescentisti", che ringrazio per avermi reso disponibile in formato elettronico l'articolo che originariamente era stato pubblicato sulla rivista "ArcaNotizie". Buona lettura e... scusate la lunghezza!



Se rifiuto il rifiuto......

A cura di Jan Mariscalco e Maria D’Asaro

Le colossali buche nel terreno impermeabilizzate con cemento e plastica, chiamate discariche controllate, dopo pochi anni si saturano debordando in montagne di rifiuti. In Italia il problema dello smaltimento dei rifiuti ci vede fronteggiare uno stato di continua emergenza. Il pesante impatto ambientale dei consumi familiari fa sorgere pesanti interrogativi sulla sostenibilità ecologica delle abitudini di consumo: una famiglia italiana di quattro persone produce ogni hanno 2.080 Kg di rifiuti…

Ero piccolo, ma ancora me lo ricordo: li piegava in due, poi in quattro e poi in otto, quindi li tagliava: diventavano rettangoli di circa 20x30cm, fogli di leggera carta bruna per avvolgere il pane, “riciclati” da mia nonna come carta igienica molto molto ‘spartana’…

Il rifiuto è, in buona parte, una recente “invenzione” occidentale (tuttavia – con le sue “emergenze”, con le sue “montagne” – sempre più invadente, incombente, opprimente) nata da una perversa combinazione di tre fattori:

- la “creazione” in laboratorio e la produzione industriale, dal dopoguerra in poi, d’una incredibile moltitudine di sostanze e materiali “nuovi”, differenti dai materiali “naturali” tradizionali e non “riassorbibili” dalla natura in tempi brevi. E non sono solo plastiche.

- la “creazione” e la diffusione, altrettanto straordinaria, d’un modello culturale a tutto beneficio dell’economia capitalistica basato sul paradigma “più cose puoi comprare, più sarai felice”

- il contemporaneo – forse non casuale – accantonare, dimenticare, disimparare tutte le tecniche del “riutilizzare” le cose: cercare di ripararle, il riadattarle per nuovi scopi, il disassemblarle per riusarne più parti possibile… (E mi impressiona come anche i miei ‘vecchi’ siano passati fra i più acritici consumatori “usa e getta”!)

Alcuni spunti per altri punti di vista

Entri in un qualsiasi ipermercato, di quelli con le merci a basso costo: se guardi le provenienze, ormai più di metà degli oggetti è prodotta in Cina o nel sud est asiatico; “articoli” per lo più decisamente non “necessari” per vivere: mille variazioni sul tema dell’informatica, centinaia di “accessori” per l’abbigliamento, lo sport il “tempo lbero”, giocattolini inconsistenti, “gadget” e “optional” in plastica d’ogni genere e tipo… (ovviamente, in un non lontano domani: tutti rifiuti). Osservando un “simpatico copri-tastiera” molto colorato per cellulare, ho cercato di immaginare l’operaio tailandese o cinese con gli occhi mandorla e mi son chiesto: ma cosa penserà, producendone ogni giorno migliaia, di questi futili oggettini e di queste frotte di sciocchi acquirenti in occidente che tanto anelano ad acquistarli?

Nord Ovest di Buenos Aires, uno dei sobborghi poveri, le cosiddette “Villas miseria”, ore 17,58: in centinaia, come ogni giorno, si accalcano sui cancelli della discarica: avranno a disposizione un’ora esatta per cercare nella “nuova” immondizia cibi scaduti, plastiche, vetro, o qualsiasi cosa di cui si possa fruire immediatamente o che si possa rivendere; gli uomini si mettono dietro i nuovi camion che scaricano – soprattutto quelli dei supermercati – una sorta di assai particolare “doccia di primizie”; una convenzione non scritta con i guardiani glielo consente, dopo ci sono manganelli e proiettili di gomma. Un intero sobborgo di 20.000 persone campa intorno a questa “attività”, una ONG italiana li sta aiutando a metter su una vera e propria piccola azienda (Da Radio1, “Pianeta dimenticato”, 2 marzo 2007, h.8,40)

La “doppia vita” degli oggetti. Anche qui a Palermo, ogni domenica mattina nel quartiere Albergheria, s’è diffuso in poco tempo, interessando ormai buona parte dei marciapiedi, una sorta di mercato spontaneo dell’usato: oggetti usati, semi nuovi, vecchi, vecchissimi, davvero d’ogni genere e tipo, comprati e rivenduti per poco. Eppure mi pare un fatto positivo: una piccola attività economica per alcuni e una “seconda chance” d’utilizzo per molte cose, anziché andare a finire in discarica o – peggio – andare a liberare le loro sostanze tossiche negli inceneritori.

Ricordiamoci che perseguire l’obiettivo di diminuire i rifiuti significa meno inceneritori per “smaltirli”, ma soprattutto dovrebbe implicare una minore produzione di “confezioni” e di oggetti inessenziali: tutto questo non può che “fare bene” al nostro pianeta e cercare di scongiurare certi scenari non rosei del futuro, purtroppo – sembra per molti studi – possibili se non probabili, che cominciano a minare la stessa fiducia nel futuro almeno in una parte delle nuove generazioni. Come nell’apolittica visione cantata dalla 26enne Regina Spektor: “finchè non fece così caldo / che la gente non riuscì più a dormire / e tutta la roba in plastica / cominciò lentamente a sciogliersi / E noi cercavamo parole per confortarci / durante questa decadenza” (On the Radio, dal CD “Begin to hope”)

E quindi:
- Innanzitutto RIDURRE la mole di oggetti comprati oggi, domani “rifiuti”;
- finchè è possibile RIPARARE: “Chi non sa usare le mani manca di musica nella propria vita”, affermava il Mahatma Gandhi;
- quindi RIUTILIZZARE tutto quanto è riutilizzabile;
- infine RICICLARE ciò che non usiamo più.

E’ questo che ci dovrebbe suggerire una coscienza attenta al pianeta; questo nell’ambito d’una più vasta prospettiva di “decrescita”, che ci invita, innanzitutto, a “decolonizzare l’immaginario” dai comuni modelli di consumo e di spreco di cui tutti siamo pregni. Ma di questo parleremo più ampiamente in altra occasione

Potremmo cominciare intanto, da un punto di vista personale, col provare a pensare di …rifiutare i rifiuti. Prima di gettare una cosa, fermiamoci e pensiamoci. Anziché un “sacchetto” al giorno, uno ogni due giorni: forse un obiettivo più ‘rivoluzionario’ di quanto immaginiamo

Come prospettiva “politica”, invece dovremmo muoverci sul fronte del ripristino della responsabilità da parte di tutti i soggetti economici. In questo mondo ormai così complesso, è ben curioso che il soggetto privato che produce e vende si curi soltanto di produrre più beni possibile al minor costo possibile, mentre l’onere del “destino finale” di tale mole di beni usati e gettati (e dei guasti che ne derivano) sia di esclusiva competenza dei soggetti pubblici! Forse qui può trovarsi la chiave per affrontare il problema a livelli “macro”. Se si propone, si diffonde e, col tempo, si impone il principio che chi produce il bene in qualche modo deve essere responsabile “in toto” di tale bene, ossia deve assumersi in una certa misura l’onere del suo smaltimento o recupero o, viceversa, deve sostenere – almeno in parte – il “costo” di disinquinamento ambientale… Credo che se allo stesso soggetto privato dovessero far capo i guadagni ma anche tutti i costi (sia di “nascita” che di “morte” dei prodotti), un certo modo di produrre (confezioni accattivanti, imballaggi a perdere, gadgets…) potrebbe cambiare abbastanza velocemente. E’ un “movimento” che in piccola parte è iniziato – vedansi le recenti normative sull’obbligo di riconsegna ai negozianti delle apparecchiature elettroniche – che sarebbe fondamentale sostenere. Un nuovo “principio” economico per questo secolo, da ampliare a sempre più larghi ambiti di produzione degli oggetti.

Questa attenzione ai “rifiuti” sia da parte dei singoli che dei soggetti economici, alla loro quantità, alla loro qualità, al loro ciclo di smaltimento, alla loro destinazione finale, diviene specchio e metafora dell’attenzione che la nostra società riesce a porre alle connessioni, alla corresponsabilità, alla complessità.

Essere capaci, come persone attente e come gruppi/comunità responsabili, della quantità e della destinazioni dei nostri rifiuti, siano essi bucce di mele, batterie esauste, antenne rotte, vestiti smessi, computer rotti (e potremmo, purtroppo, prolungare pressocchè all’infinito la lista) vuol dire svegliarci dalla nefasta ubriacatura consumista dell’usa e getta.

Vuol dire che ci interessa essere cittadini responsabili innanzitutto di noi stessi, e poi dei nostri figli, del suolo, dell’acqua, degli animali, delle piante, del pianeta terra.

Rischiamo altrimenti di essere, in qualche modo, anche noi “figli di Eichmann”, il burocrate che, come funzionario di apparato, collaborava pienamente alla realizzazione dei crimini nazisti, proclamandosi però innocente.

Inviti pratici

AUTOPRODUZIONE
Il primo passo verso una società che tende verso l’obiettivo rifiuti zero è la scelta dell’autoproduzione. Un’attività che richiede il pieno coinvolgimento della famiglia. E’ possibile autoprodurre il detersivo per lavare tutte le superfici (pavimenti, wc, lavabo, fornelli, vetri,…) riutilizzando all’infinito un solo flacone di plastica (riportiamo nel riquadro una possibile ricetta). Ci si può autoprodurre anche lo yogurt, il pane, i dolci, il compost.

RIDUZIONE
Non comprare rifiuti è la modalità più diretta alla loro riduzione. Sono tante le occasioni in cui, una famiglia o una comunità, può produrre meno rifiuti quando fa la spesa: se evita gli imballaggi inutili, se preferisce prodotti da banco, frutta a peso o prodotti sfusi al posto di quelli confezionati in vassoi di polistirolo e cellophane, se utilizza borse di tela e di juta invece di busta di plastica, se utilizza fazzoletti e tovaglioli di cotone anziché di carta, se mette al bando le dannose stoviglie di plastica, se fa a meno dei prodotti venduti in mini-confezioni, ecc.

RIUTILIZZO
1) Detersivi alla spina:
Sembra quasi una rivoluzione e forse lo è: riutilizzare a lungo i contenitori in plastica o in vetri per alimenti o detersivi. L’idea è semplice: il cliente acquista un flacone, ad esempio di detersivo per piatti, e quando lo esaurisce torna nel negozio e se lo fa ricaricare dagli appositi erogatori di detersivo alla spina.
Purtroppo mentre al Nord Italia sono già numerose le botteghe del Commercio Equo e Solidale che consentono l’acquisto di detersivo alla spina, al Sud tale possibilità ancora non esiste. E’ opportuno creare gruppi di pressione presso i negozi del Commercio Equo e Solidale e, perché no, presso alcune catene della grande distribuzione, affinché si attrezzino per offrire ai soci e ai clienti tale possibilità.
2) Latte alla spina:
Alcuni allevatori bovini del Nord si sono sganciati dal circuito della distribuzione del latte e hanno avviato la vendita diretta di latte alla spina. Il cliente arriva in fattoria con bottiglie di vetro, introduce l’importo nel distributore automatico collegato a una cisterna di latte refrigerato, pone la bottiglia sotto il beccuccio erogatore e preleva la quantità di latte desiderata. Il latte alla spina è venduto a un prezzo inferiore circa del 30% rispetto a quello che si trova la supermercato, ha il pregio di essere veramente “fresco”, ha un maggior controllo sulla qualità del prodotto e presenta una maggiore convenienza economica anche per il produttore.
3) Acqua alla spina?!?
Come ci ricorda Renata Longo in Arca Notizie n.4/2006 (Bilanci di giustizia e uso dell’acqua), non ci sono ormai ragioni salutistiche per preferire l’acqua in bottiglia. I patiti delle acque minerali dovrebbero comunque preferire le acque imbottigliate locali e pretendere la restituzione dei vuoti con cauzione. Chissà se si potrà, come per il latte, in un futuro prossimo acquistare “acqua minerale alla spina”! Se non si vuole bere l’acqua del rubinetto, è comunque possibile sin d’ora acquistare acqua depurata, in appositi punti vendita, riutilizzando all’infinito i propri recipienti di vetro o di plastica.
4) Bottiglie col vuoto a rendere:
L’uso di bottiglie per il latte, per l’acqua, per il vino e per le bibite col sistema del vuoto a rendere è la via maestra alla prevenzione dei rifiuti attraverso il riutilizzo. L’Italia è agli ultimi posti in Europa nella diffusione del vuoto a rendere. E’ quanto mai urgente che politici, imprenditori e cittadini facciano i passi necessari a invertire la tendenza e si introduca, come accade in molti paesi europei, la cauzione sulle bottiglie vuote.


Detersivo per tutte le superfici

- 600 ml di acqua
- 30 gocce di olio essenziale di limone
- 3 cucchiai (30 ml) di detersivo liquido per piatti (possibilmente ecologico).


Riferimenti bibliografici e link:

Serge Latouche: Come sopravvivere allo sviluppo – Bollati Boringhieri
Bologna, Gesualdi, Piazza, Saroldi : Invito alla sobrietà felice - EMI
Mauro Bonaiuti: Obiettivo decrescita - EMI
Maurizio Pallante: La decrescita felice-la qualità della vita non dipende dal PIL – Editori Riuniti
Matteo Della Torre: Discariche e riciclo , in Quale vita, 02/07

In internet: “Decrescita - rete per la decrescita serena, pacifica e solidale”: www.decrescita.it
 
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giovedì, giugno 07, 2007
Salviamo Val di Noto dalle trivelle dei petrolieri
di Andrea Camilleri

Fonte: www.repubblica.it

I milanesi come reagirebbero se dicessero loro che c'è un progetto avanzato di ricerche petrolifere proprio davanti al Duomo? Rifarebbero certo le cinque giornate. E i veneziani, se venissero a sapere che vorrebbero cominciare a carotare a San Marco? E i fiorentini, sopporterebbero le trivelle a Santa Croce? I rispettivi abitanti che ne direbbero di scavi per la ricerca del petrolio a Roma tra i Fori imperiali e il Colosseo, a piazza Di Grado a Genova, sulle colline di Torino, a piazza delle Erbe, a piazza Grande, lungo le rive del Garda?

Non si sentirebbero offesi e scempiati nel più profondo del loro essere? Ebbene, in Sicilia, e precisamente in una zona che è stata dichiarata dall'Unesco "patrimonio mondiale dell'umanità", il Val di Noto, dove il destino e la Storia hanno voluto radunare gli inestimabili, irrepetibili, immensi capolavori del tardo barocco, una società petrolifera americana, la "Panther Eureka", è stata qualche anno fa autorizzata, dall'ex assessore all'industria della Regione Sicilia, a compiervi trivellazioni e prospezioni per la ricerca di idrocarburi nel sottosuolo. In caso positivo (positivo per la "Panther Eureka", naturalmente) è già prevista la concessione per lo sfruttamento dell'eventuale giacimento.

In parole povere, questo significa distruggere, in un sol colpo e totalmente, paesaggio e storia, cultura e identità, bellezza e armonia, il meglio di noi insomma, a favore di una sordida manovra d'arricchimento di pochi spacciata come azione necessaria e indispensabile per tutti. E inoltre si darebbe un colpo mortale al rifiorente turismo, rendendo del tutto vane opere (come ad esempio l'aeroporto Pio La Torre di Comiso) e iniziative sorte in appoggio all'industria turistica, che in Sicilia è ancora tutta da sviluppare.

Poi l'inizio dei lavori è stato fermato, nel 2003, dal Governatore Cuffaro su proposta dell'allora assessore ai Beni Culturali Fabio Granata, di Alleanza nazionale, in prima fila in questa battaglia.

Ma è cominciato quel balletto tutto italiano fatto di ricorsi all'ineffabile Tar, rigetti, annullamenti, rinnovi, sospensioni temporanee, voti segreti, vizi di forma e via di questo passo ( ma anche di sotterranee manovre politiche che hanno sgombrato il campo dagli oppositori più impegnati).

E si sa purtroppo come in genere questi balletti vanno quasi sempre tristemente a concludersi da noi: con la vittoria dell'economicamente più forte a danno degli onesti, dei rispettosi dell'ambiente, di coloro che accettano le leggi. E i texani, dal punto di vista del denaro da spendere per ottenere i loro scopi, non scherzano.

Vogliamo, una volta tanto, ribaltare questo prevedibile risultato e far vincere lo sdegno, il rifiuto, la protesta, l'orrore (sì, l'orrore) di tutti, al di là delle personali idee politiche?

Per la nostra stessa dignità di italiani, adoperiamoci a che sia revocata in modo irreversibile quella contestata concessione e facciamo anche che sia per sempre resa impossibile ogni ulteriore iniziativa che possa in futuro violentare e distruggere, in ogni parte d'Italia, i nostri piccoli e splendidi paradisi. Nostri e non alienabili.



E' possibile firmare l'appello qui.

Riguardo allo sviluppo dell'industria turistica a cui Camilleri fa riferimento, mi auguro che non sia, nelle sue intenzioni, come e più distruttivo delle trivelle petrolifere a cui si oppone. A tal proposito, il riferimento all'aeroporto di Comiso, considerato l'enorme inquinamento provocato dagli aerei che, detto per inciso, dipendono enormemente dal petrolio, non mi fa ben sperare in proposito.

Per ulteriori approfondimenti vi segnalo il sito del comitato NoTriv.
 
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lunedì, giugno 04, 2007
L'invenzione del secolo: la ruota per l'acqua!
Avra' un impatto sulla storia pari all'invenzione della sua omologa da terra. La ruota per l'acqua contiene un paradigma mentale in grado di incidere sulla struttura intima delle idee: e' un messaggero proteico di un nuovo modo di pensare.

L'idea e' di una semplicita' allucinante: una tanica di plastica a forma di ruota, con un buco al centro. Assomiglia alla ruota di un'auto. Basta un tappo e una corda per trasformarla in un contenitore d'acqua che puoi tirare facendolo rotolare invece di caricartelo sulla schiena, come si e' fatto per secoli. Contiene fino a 50 litri d'acqua. Un uso intelligente della plastica, materiale meraviglioso, resistente, elastico, leggero, malleabile.

Continua qui.
 
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venerdì, giugno 01, 2007
La B12, questa sconosciuta

Ho l'immenso piacere di postare un articolo che fa chiarezza una volta per tutte (o almeno si spera) sulla tanto dibattuta questione della vitamina B12, quella vitamina (l'unica!) che i vegani sono costretti ad assumere tramite integratore, rendendo così la propria dieta completamente "innaturale" (almeno a dire di molti vegetariani che si richiamano a questa scusante per non abbandonare il piacere della mozzarella sulla pizza). Riguardo ai "carnivori", in questo contesto non è nemmeno il caso di chiamarli in causa... anche perchè se consideriamo quanti multivitaminici sono in commercio (e come vengono pubblicizzati) ho come il sospetto che questi (i "carnivori") assumano, magari senza rendersene conto, più integratori di un qualunque vegan che segua una dieta bilanciata... a questo punto non mi dilungo e buona lettura!


A quanto sembra, la "questione B12" e' la piu' dibattuta del mondo vegan... perche', dato che la B12 e' l'unica vitamina che non si puo' ricavare dai cibi vegetali, pare che per alcuni questo possa significare che l'alimentazione vegan non e' "naturale".

Perfino alcuni aspiranti vegan, convinti della validita' di questo stile di vita, si pongono il problema della fatidica B12, considerando "tragico" prendere una volta a settimana una piccola compressa ricca di B12.

Sono dubbi che sussistono per pura ignoranza, vale a dire, non conoscenza della situazione: una volta che si sa come stanno davvero le cose, si capisce l'assurdita', e, anche, lasciatemelo dire, il ridicolo di questi dubbi :-)

Continua qui.

 
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