martedì, giugno 12, 2007
Se rifiuto il rifiuto……
Oggi posto un interessante articolo sui rifiuti che è stato scritto da due miei amici "decrescentisti", che ringrazio per avermi reso disponibile in formato elettronico l'articolo che originariamente era stato pubblicato sulla rivista "ArcaNotizie". Buona lettura e... scusate la lunghezza!



Se rifiuto il rifiuto......

A cura di Jan Mariscalco e Maria D’Asaro

Le colossali buche nel terreno impermeabilizzate con cemento e plastica, chiamate discariche controllate, dopo pochi anni si saturano debordando in montagne di rifiuti. In Italia il problema dello smaltimento dei rifiuti ci vede fronteggiare uno stato di continua emergenza. Il pesante impatto ambientale dei consumi familiari fa sorgere pesanti interrogativi sulla sostenibilità ecologica delle abitudini di consumo: una famiglia italiana di quattro persone produce ogni hanno 2.080 Kg di rifiuti…

Ero piccolo, ma ancora me lo ricordo: li piegava in due, poi in quattro e poi in otto, quindi li tagliava: diventavano rettangoli di circa 20x30cm, fogli di leggera carta bruna per avvolgere il pane, “riciclati” da mia nonna come carta igienica molto molto ‘spartana’…

Il rifiuto è, in buona parte, una recente “invenzione” occidentale (tuttavia – con le sue “emergenze”, con le sue “montagne” – sempre più invadente, incombente, opprimente) nata da una perversa combinazione di tre fattori:

- la “creazione” in laboratorio e la produzione industriale, dal dopoguerra in poi, d’una incredibile moltitudine di sostanze e materiali “nuovi”, differenti dai materiali “naturali” tradizionali e non “riassorbibili” dalla natura in tempi brevi. E non sono solo plastiche.

- la “creazione” e la diffusione, altrettanto straordinaria, d’un modello culturale a tutto beneficio dell’economia capitalistica basato sul paradigma “più cose puoi comprare, più sarai felice”

- il contemporaneo – forse non casuale – accantonare, dimenticare, disimparare tutte le tecniche del “riutilizzare” le cose: cercare di ripararle, il riadattarle per nuovi scopi, il disassemblarle per riusarne più parti possibile… (E mi impressiona come anche i miei ‘vecchi’ siano passati fra i più acritici consumatori “usa e getta”!)

Alcuni spunti per altri punti di vista

Entri in un qualsiasi ipermercato, di quelli con le merci a basso costo: se guardi le provenienze, ormai più di metà degli oggetti è prodotta in Cina o nel sud est asiatico; “articoli” per lo più decisamente non “necessari” per vivere: mille variazioni sul tema dell’informatica, centinaia di “accessori” per l’abbigliamento, lo sport il “tempo lbero”, giocattolini inconsistenti, “gadget” e “optional” in plastica d’ogni genere e tipo… (ovviamente, in un non lontano domani: tutti rifiuti). Osservando un “simpatico copri-tastiera” molto colorato per cellulare, ho cercato di immaginare l’operaio tailandese o cinese con gli occhi mandorla e mi son chiesto: ma cosa penserà, producendone ogni giorno migliaia, di questi futili oggettini e di queste frotte di sciocchi acquirenti in occidente che tanto anelano ad acquistarli?

Nord Ovest di Buenos Aires, uno dei sobborghi poveri, le cosiddette “Villas miseria”, ore 17,58: in centinaia, come ogni giorno, si accalcano sui cancelli della discarica: avranno a disposizione un’ora esatta per cercare nella “nuova” immondizia cibi scaduti, plastiche, vetro, o qualsiasi cosa di cui si possa fruire immediatamente o che si possa rivendere; gli uomini si mettono dietro i nuovi camion che scaricano – soprattutto quelli dei supermercati – una sorta di assai particolare “doccia di primizie”; una convenzione non scritta con i guardiani glielo consente, dopo ci sono manganelli e proiettili di gomma. Un intero sobborgo di 20.000 persone campa intorno a questa “attività”, una ONG italiana li sta aiutando a metter su una vera e propria piccola azienda (Da Radio1, “Pianeta dimenticato”, 2 marzo 2007, h.8,40)

La “doppia vita” degli oggetti. Anche qui a Palermo, ogni domenica mattina nel quartiere Albergheria, s’è diffuso in poco tempo, interessando ormai buona parte dei marciapiedi, una sorta di mercato spontaneo dell’usato: oggetti usati, semi nuovi, vecchi, vecchissimi, davvero d’ogni genere e tipo, comprati e rivenduti per poco. Eppure mi pare un fatto positivo: una piccola attività economica per alcuni e una “seconda chance” d’utilizzo per molte cose, anziché andare a finire in discarica o – peggio – andare a liberare le loro sostanze tossiche negli inceneritori.

Ricordiamoci che perseguire l’obiettivo di diminuire i rifiuti significa meno inceneritori per “smaltirli”, ma soprattutto dovrebbe implicare una minore produzione di “confezioni” e di oggetti inessenziali: tutto questo non può che “fare bene” al nostro pianeta e cercare di scongiurare certi scenari non rosei del futuro, purtroppo – sembra per molti studi – possibili se non probabili, che cominciano a minare la stessa fiducia nel futuro almeno in una parte delle nuove generazioni. Come nell’apolittica visione cantata dalla 26enne Regina Spektor: “finchè non fece così caldo / che la gente non riuscì più a dormire / e tutta la roba in plastica / cominciò lentamente a sciogliersi / E noi cercavamo parole per confortarci / durante questa decadenza” (On the Radio, dal CD “Begin to hope”)

E quindi:
- Innanzitutto RIDURRE la mole di oggetti comprati oggi, domani “rifiuti”;
- finchè è possibile RIPARARE: “Chi non sa usare le mani manca di musica nella propria vita”, affermava il Mahatma Gandhi;
- quindi RIUTILIZZARE tutto quanto è riutilizzabile;
- infine RICICLARE ciò che non usiamo più.

E’ questo che ci dovrebbe suggerire una coscienza attenta al pianeta; questo nell’ambito d’una più vasta prospettiva di “decrescita”, che ci invita, innanzitutto, a “decolonizzare l’immaginario” dai comuni modelli di consumo e di spreco di cui tutti siamo pregni. Ma di questo parleremo più ampiamente in altra occasione

Potremmo cominciare intanto, da un punto di vista personale, col provare a pensare di …rifiutare i rifiuti. Prima di gettare una cosa, fermiamoci e pensiamoci. Anziché un “sacchetto” al giorno, uno ogni due giorni: forse un obiettivo più ‘rivoluzionario’ di quanto immaginiamo

Come prospettiva “politica”, invece dovremmo muoverci sul fronte del ripristino della responsabilità da parte di tutti i soggetti economici. In questo mondo ormai così complesso, è ben curioso che il soggetto privato che produce e vende si curi soltanto di produrre più beni possibile al minor costo possibile, mentre l’onere del “destino finale” di tale mole di beni usati e gettati (e dei guasti che ne derivano) sia di esclusiva competenza dei soggetti pubblici! Forse qui può trovarsi la chiave per affrontare il problema a livelli “macro”. Se si propone, si diffonde e, col tempo, si impone il principio che chi produce il bene in qualche modo deve essere responsabile “in toto” di tale bene, ossia deve assumersi in una certa misura l’onere del suo smaltimento o recupero o, viceversa, deve sostenere – almeno in parte – il “costo” di disinquinamento ambientale… Credo che se allo stesso soggetto privato dovessero far capo i guadagni ma anche tutti i costi (sia di “nascita” che di “morte” dei prodotti), un certo modo di produrre (confezioni accattivanti, imballaggi a perdere, gadgets…) potrebbe cambiare abbastanza velocemente. E’ un “movimento” che in piccola parte è iniziato – vedansi le recenti normative sull’obbligo di riconsegna ai negozianti delle apparecchiature elettroniche – che sarebbe fondamentale sostenere. Un nuovo “principio” economico per questo secolo, da ampliare a sempre più larghi ambiti di produzione degli oggetti.

Questa attenzione ai “rifiuti” sia da parte dei singoli che dei soggetti economici, alla loro quantità, alla loro qualità, al loro ciclo di smaltimento, alla loro destinazione finale, diviene specchio e metafora dell’attenzione che la nostra società riesce a porre alle connessioni, alla corresponsabilità, alla complessità.

Essere capaci, come persone attente e come gruppi/comunità responsabili, della quantità e della destinazioni dei nostri rifiuti, siano essi bucce di mele, batterie esauste, antenne rotte, vestiti smessi, computer rotti (e potremmo, purtroppo, prolungare pressocchè all’infinito la lista) vuol dire svegliarci dalla nefasta ubriacatura consumista dell’usa e getta.

Vuol dire che ci interessa essere cittadini responsabili innanzitutto di noi stessi, e poi dei nostri figli, del suolo, dell’acqua, degli animali, delle piante, del pianeta terra.

Rischiamo altrimenti di essere, in qualche modo, anche noi “figli di Eichmann”, il burocrate che, come funzionario di apparato, collaborava pienamente alla realizzazione dei crimini nazisti, proclamandosi però innocente.

Inviti pratici

AUTOPRODUZIONE
Il primo passo verso una società che tende verso l’obiettivo rifiuti zero è la scelta dell’autoproduzione. Un’attività che richiede il pieno coinvolgimento della famiglia. E’ possibile autoprodurre il detersivo per lavare tutte le superfici (pavimenti, wc, lavabo, fornelli, vetri,…) riutilizzando all’infinito un solo flacone di plastica (riportiamo nel riquadro una possibile ricetta). Ci si può autoprodurre anche lo yogurt, il pane, i dolci, il compost.

RIDUZIONE
Non comprare rifiuti è la modalità più diretta alla loro riduzione. Sono tante le occasioni in cui, una famiglia o una comunità, può produrre meno rifiuti quando fa la spesa: se evita gli imballaggi inutili, se preferisce prodotti da banco, frutta a peso o prodotti sfusi al posto di quelli confezionati in vassoi di polistirolo e cellophane, se utilizza borse di tela e di juta invece di busta di plastica, se utilizza fazzoletti e tovaglioli di cotone anziché di carta, se mette al bando le dannose stoviglie di plastica, se fa a meno dei prodotti venduti in mini-confezioni, ecc.

RIUTILIZZO
1) Detersivi alla spina:
Sembra quasi una rivoluzione e forse lo è: riutilizzare a lungo i contenitori in plastica o in vetri per alimenti o detersivi. L’idea è semplice: il cliente acquista un flacone, ad esempio di detersivo per piatti, e quando lo esaurisce torna nel negozio e se lo fa ricaricare dagli appositi erogatori di detersivo alla spina.
Purtroppo mentre al Nord Italia sono già numerose le botteghe del Commercio Equo e Solidale che consentono l’acquisto di detersivo alla spina, al Sud tale possibilità ancora non esiste. E’ opportuno creare gruppi di pressione presso i negozi del Commercio Equo e Solidale e, perché no, presso alcune catene della grande distribuzione, affinché si attrezzino per offrire ai soci e ai clienti tale possibilità.
2) Latte alla spina:
Alcuni allevatori bovini del Nord si sono sganciati dal circuito della distribuzione del latte e hanno avviato la vendita diretta di latte alla spina. Il cliente arriva in fattoria con bottiglie di vetro, introduce l’importo nel distributore automatico collegato a una cisterna di latte refrigerato, pone la bottiglia sotto il beccuccio erogatore e preleva la quantità di latte desiderata. Il latte alla spina è venduto a un prezzo inferiore circa del 30% rispetto a quello che si trova la supermercato, ha il pregio di essere veramente “fresco”, ha un maggior controllo sulla qualità del prodotto e presenta una maggiore convenienza economica anche per il produttore.
3) Acqua alla spina?!?
Come ci ricorda Renata Longo in Arca Notizie n.4/2006 (Bilanci di giustizia e uso dell’acqua), non ci sono ormai ragioni salutistiche per preferire l’acqua in bottiglia. I patiti delle acque minerali dovrebbero comunque preferire le acque imbottigliate locali e pretendere la restituzione dei vuoti con cauzione. Chissà se si potrà, come per il latte, in un futuro prossimo acquistare “acqua minerale alla spina”! Se non si vuole bere l’acqua del rubinetto, è comunque possibile sin d’ora acquistare acqua depurata, in appositi punti vendita, riutilizzando all’infinito i propri recipienti di vetro o di plastica.
4) Bottiglie col vuoto a rendere:
L’uso di bottiglie per il latte, per l’acqua, per il vino e per le bibite col sistema del vuoto a rendere è la via maestra alla prevenzione dei rifiuti attraverso il riutilizzo. L’Italia è agli ultimi posti in Europa nella diffusione del vuoto a rendere. E’ quanto mai urgente che politici, imprenditori e cittadini facciano i passi necessari a invertire la tendenza e si introduca, come accade in molti paesi europei, la cauzione sulle bottiglie vuote.


Detersivo per tutte le superfici

- 600 ml di acqua
- 30 gocce di olio essenziale di limone
- 3 cucchiai (30 ml) di detersivo liquido per piatti (possibilmente ecologico).


Riferimenti bibliografici e link:

Serge Latouche: Come sopravvivere allo sviluppo – Bollati Boringhieri
Bologna, Gesualdi, Piazza, Saroldi : Invito alla sobrietà felice - EMI
Mauro Bonaiuti: Obiettivo decrescita - EMI
Maurizio Pallante: La decrescita felice-la qualità della vita non dipende dal PIL – Editori Riuniti
Matteo Della Torre: Discariche e riciclo , in Quale vita, 02/07

In internet: “Decrescita - rete per la decrescita serena, pacifica e solidale”: www.decrescita.it
 
posted by Daniele at 11:00 AM | Permalink |


2 Comments:


  • At 1:56 PM, Blogger Unknown

    Grazie per la lunghezza dell'articolo! Mi sa che piazzo un link anche sul mio sito...

     
  • At 12:30 PM, Anonymous Anonimo

    Io direi che nella bibliografia si può aggiungere anche il libro "DePILiamoci-Liberarsi del PIl superfluo e vivere felici" di Roberto Lorusso e Nello De Padova, Editori Riuniti 2007 con prefazione di Maurizio Pallante. Il libro dispensa una serie di consigli pratici che assomigliano a questi, come ad es. dotare i bimbi che mangiano alla mensa scolastica di un astuccio da pic nic così ogni bimbo ha le sue posate, impara a lavarle e a riporle in cartella ogni giorno e si evita l'uso di posate di plastica. Il libro dispensa molti altri consigli su come applicare i concetti di decrescita nella vita quotidiana... è molto interessante e soprattutto si legge con facilità, anche in metro.