mercoledì, luglio 05, 2006
NoTav: Val di Susa & Decrescita
Ripropongo un articolo che ho scritto qualche mese fa nel quale parlo dell'opposizione al progetto dell'Alta Velocità in Val di Susa vista sotto l'ottica della decrescita. Mi faceva piacere postarlo qui.:) Eccolo:

L'obiezione al progetto Tav in Val di Susa non è soltanto quella di carattere ambientale (l'amianto), non è neanche soltanto quella di tipo "sub-sviluppista" (ma le merci da trasportare non sono poi così tante), tanto meno solo quella economica (costa troppo), neppure quella "alla mani pulite" (chi ci guadagna, su quei 15 miliardi di euro?).

L’opposizione di questi giorni, infatti, nasce al di là di questi specifici aspetti, che pure hanno la loro importanza, in quanto è figlia soprattutto della considerazione che questo progetto, come altre grandi opere in fase di progettazione e sviluppo (una su tutte il tanto discusso Ponte sullo Stretto), è partorito da una logica economica che pone come unico obiettivo la crescita in sè, in quanto questa è considerata la medicina di tutti i mali che affliggono la nostra società.

La costruzione dell’Alta Velocità costituisce la quintessenza dello sviluppo. Infatti essa favorisce senz'altro una crescita economica e occupazionale immediata e prospetta inoltre un futuro in cui le merci viaggeranno da un paese all’altro in quantità sempre maggiore e ad una velocità sempre maggiore, vendendoci per buono il fatto che comunque lo spostamento del trasporto merci dalla strada alla rotaia costituisce un progresso in termini di diminuizione dell’impatto ambientale del trasporto stesso.

Il che è evidentemente anche vero, ma il fatto è che questa visione non colpisce il cuore del problema: Albert Einstein diceva che non si può risolvere un problema usando la stessa logica di pensiero che l’ha generato, da questo noi possiamo dedurre che non si può risolvere un problema generato dallo sviluppo economico (e cioè quello relativo al trasporto delle merci su medio-lunghe distanze) con altro sviluppo economico (cioè con la costruzione di altre infrastrutture che vanno ad aggiungersi a quelle già esistenti). Ciò a cui noi dovremmo pensare non è tanto come spostare, nel modo più ecologicamente sostenibile, le merci di cui abbiamo bisogno per centinaia e migliaia di chilometri, bensì dovremmo pensare a come fare a meno di questa nostra "necessità" di trasporto. In altri termini, bisogna pensare a come uscire da una società basata sulla crescita economica ed entrare in una società della decrescita.

Non è ragionevole far viaggiare le acque minerali su e giù per lo stivale, come non lo è importare dall'estero dei prodotti agricoli (o di altro genere) che potrebbero essere coltivati (o prodotti) anche all'interno del nostro paese. L’unico modo per annullare effettivamente le distanze è quello di accorciare materialmente la distanza fra i luoghi di produzione e i luoghi di consumo. Se questa distanza viene accorciata, non abbiamo più bisogno del feticcio dell’Alta Velocità, non abbiamo più bisogno di accorciare, con l’uso della tecnica e dello sviluppo economico, le distanze fra luoghi materialmente molto distanti. Si tratta, dunque, di puntare alla rilocalizzazione dell'economia.

E’ certo comunque che l’Alta Velocità esercita su di noi un fascino irresistibile, per l’idea stessa di poterci spostare, in treno, con facilità e velocità da un luogo all’altro in un tempo inferiore rispetto che al passato. Ma d’altra parte questa è anche la logica della continua corsa in avanti della società in cui viviamo, in cui il tempo è tiranno e abbiamo sempre bisogno di correre, di andare di fretta, senza avere la possibilità di fermarci un attimo a riflettere o a goderci la bellezza del paesaggio dal finestrino del lento treno in cui viaggiamo, o magari di approfittare di quel tempo per leggere un buon libro o ancora chiacchierare del più e del meno con l’improvvisato compagno di viaggio. Facendo nostro il pensiero di Alex Langer, al motto "citius (più veloce), altius (più alto), fortius (più forte)", che rappresenta bene la quintessenza della civiltà competitiva in cui viviamo, deve essere sostituito il suo contrario: "Lentius, profundius, soavius". Insomma, più lenti invece che più veloci, più in profondità invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che con più muscoli.

Ma i nostri politici, sia a destra che a sinistra, continuano a venderci la solita storia. Per sconfiggere la disoccupazione, le disuguaglianze sociali e tutti i problemi della nostra società, la ricetta è: produrre di più, consumare di più, riempiendoci di "merci" inutili. In altre parole, l'unico obiettivo che si insegue è la crescita del Pil. Se il Pil cresce stiamo automaticamente meglio. Se anche ciò fosse vero (e di fatto non lo è), bisogna comunque considerare che la crescita non può essere infinita, perchè "finite" sono le risorse del pianeta in cui viviamo. Quindi o scegliamo consapevolmente di entrare in una società della decrescita, quindi in una società del "produrre meno, consumare meno" (e di conseguenza lavorare meno, ed avere più tempo libero da dedicare all’autoproduzione di beni e alle relazioni sociali… non per niente la chiamano "decrescita felice"), oppure prima o poi sarà il pianeta stesso a metterci nella condizione di decrescere in modo forzato (e doloroso). Meglio arrivarci preparati, no?
 
posted by Daniele at 10:11 AM | Permalink |


5 Comments:


  • At 11:24 AM, Anonymous Anonimo

    Mi pare di capire il tuo punto di vista...io penso che le merci che per forza di cose devono venire da lontano sono quelle che quì non sarebbero producibili/coltivabili...per dirtene una...che bisogno abbiamo di importare le arance da Israele quando qui ne abbiamo una tale quantità da mandarne un casino al macero?compriamo tanti beni da altri paesi e le nostre fabbriche chiudono i battenti mandando in mezzo una strada lavoratori e quindi famiglie...se questa è crescita allora la definirei "crescita che non fa crescere"...se il fine era crescere mi sa che hanno mancato l'obiettivo di qualche anno luce...se fosse progresso porterebbe il bene di tutti e non la fame e il benessere assoluto di pochi!!!!

    "L'uomo misterioso"

     
  • At 11:46 AM, Blogger Vera

    Mi ero dimenticata di farti i complimenti per il nuovo blog. O.O

    Che figlia sciagurata!

    Auguri papinoooooo!! Vai così che sei grande! :D

     
  • At 1:32 PM, Blogger Daniele

    Ebbrava figghia che finalmente ti ricordi di lasciarmi un saluto sul blog!:-P

    Ma veniamo al nostro uomo "misterioso" (anche se di misterioso per me non ha proprio nulla;)). Mi fa piacere che tu abbia capito il mio punto di vista, ma credo che bisognerebbe andare oltre quel che tu dici. E' vero che è molto più assurdo importare arance da Israele piuttosto che caffè dal Brasile, però è anche vero che il caffè (come le banane, il cacao, ecc..) non è un alimento indispensabile alla nostra alimentazione. Quindi l'importazione di questi alimenti "coloniali" dovrebbe, idealmente, diminuire fino a scomparire o quasi.

    Il problema è un altro, e cioè il fatto che dopo tanti anni di sfruttamento (dal colonialismo fino ai giorni nostri) non possiamo voltare le spalle ai produttori del sud del mondo decidendo, dall'oggi al domani, di non acquistare più quei prodotti agricoli dai quali dipende la loro sopravvivenza.

    E' proprio in quest'ottica che interviene il commercio equo e solidale, che dovrebbe dare ai produttori del sud del mondo la possibilità di sganciarsi dai malefici meccanismi del mercato mondiale per orientare le proprie coltivazioni verso il soddisfacimento dei propri bisogni alimentari o verso le esigenze del mercato locale.

    Anche se in effetti c'è da dire che il commercio equo e solidale sta prendendo, hainoi, una direzione sempre più commerciale e meno "ideologica"... speriamo che non si perda totalmente di vista l'obiettivo iniziale.

    Visto che volevi un commento, spero che ti sia risultato soddisfacente!:-D

     
  • At 2:26 PM, Blogger pleiadi

    Bella spiegazione :D

     
  • At 2:49 PM, Anonymous Anonimo

    La risposta è soddisfacente...un po meno il commento "fazioso" di Pleiadi...
    Si...per quanto riguarda il commercio dei prodotti coloniali siamo in sintonia e la vera soddisfazione sarebbe potere acquistare il caffè direttamente dai brasiliani piuttosto che da un eropeo che si fa chiamare Kimbo e che acquista per una miseria rivendendo ad un prezzo 20 o forse 50 volte maggiorato...non so che dinamica stia assumendo il commercio equo...certo...se rimane un canale diretto con il sud allora che sia ben accetto...ma se diventa un business ( e quindi un'altra Nestlè ) perde di significato...secondo il mio modestissimo ed insignificante parere "Commercio Equo" non deve diventare un semplice simbolo su di una confezione di caramelle cubane ma deve rimanere quello che secondo me è un modo di vivere e di interagire con persone che appartengono ad un'altra realtà di un altro paese lontatno...clap clap per Daniele.

    L'uomo misterioso....